A cura di dr.ssa Margherita Lardo psicologa psicoterapeuta

 

Diventare genitori implica un passaggio talmente pregno di significati, emozioni e consapevolezze da incidere sulle identità degli stessi. Sin dai primi mesi, sia il padre che la madre del bambino, ciascuno secondo le proprie modalità, entrano in contatto con lui (o lei) attraverso le aspettative che questo suscita.

Già dai primissimi mesi la mamma crea un rapporto con il feto attraverso due modalità, una di natura più inconscia l’altra più aderente alla realtà, generando nella sua mente un bambino fantasmatico ed uno immaginario.

Il bambino fantasmatico ha una vita inconsapevole nella mente della futura mamma e fa riferimento a quella che è stata la sua figura di bambina, facendo appello a quelli che sono i suoi ricordi durante l’infanzia, passando attraverso le relazioni e le dinamiche instaurate con la famiglia di origine.

Il bambino immaginario si fa strada nella mente della madre attraverso la consapevolezza dei suoi desideri ed aspettative circa il nascituro. In questo caso il bambino si struttura secondo le speranze che i genitori ripongono in esso, infatti, è il bambino immaginario che stimola molteplici domande circa il suo futuro: come sarà? Che nome porterà? A chi somiglierà? Il bambino immaginario crea un grembo mentale parallello a quello del ventre materno che aiuta i genitori a sviluppare la progettualità necessaria per il nuovo drastico cambiamento di vita e di coppia.

Questo aspetto porta ad una considerazione imprescindibile secondo cui nell’immaginario collettivo la gravidanza sia un’esperienza perlopiù positiva e appagante, entro la quale è probabile si sviluppi la tipica difesa da evitamento verso quella che può essere una diagnosi fetale nefasta. Quasi tutti i genitori sperimentano la paura di entrare in contatto con la notizia che il feto possa non essere sano, ma questo tipo di ipotesi tende a soccombere all’idea di un bambino meraviglioso.

A meno che non si parli di donne ad alto rischio, nella maggior parte dei casi in cui si affrontano gli esami di routine una precoscienza favorevole accompagna questa esperienza nella quale i genitori credono che un risultato preoccupante non possa accader loro.

 

Ma cosa accade ai genitori ai quali viene comunicata una malforamzione fetale? Quali sono i peculiari aspetti psicologici implicati in questa circostanza?

Prima di rispondere a questi delicati quesiti, trovo utile introdurre una riflessione relativa all’importanza del consenso informato e alla nuova generazione medica e su come questa sia gradualmente mutata rispetto a quella precedente.

Con l’introduzione del consenso informato il medico è tenuto ad informare la paziente in maniera chiara e precisa circa gli aspetti medici e tecnici, su ciò che la ricerca, gli studi e le sperimentazioni più recenti possono indicare riguardo alla diagnosi, alla prognosi e all’eventuale terapia. Dopo aver fornito la diagnosi relativa ad un forte rischio di malformazione fetale, è necessario che il medico sia consapevole di quanto doloroso e spiazzante possa essere tale esito. A tal proposito sarebbe vantaggioso per la paziente potersi trovare in un contesto di un’équipe a carattere multidisciplinare in grado sia di fornire l’informazione, che di sostenere la reazione da essa scaturita. Grazie a questo imprescindibile passaggio si garantisce ai genitori la condizione per una consapevole e libera scelta, prettamente personale. Ciò ha portato il medico verso una dimensione percepita dal paziente come più umanizzata che funge da primo contenimento in casi come questo.

L’IMPORTANZA DELL’EMPATIA E DELLA CORRETTA INFORMAZIONE

L’esito di un feto malformato apre a scenari altamente dolorosi, ciò che potrebbe acuire questa angoscia è l’incomprensione da parte dei genitori circa la precisa patologia riportata dal feto: più il medico si presenta freddo, silenzioso e poco chiaro, più il dolore dell’informazione si fa devastante. Il bisogno di chiarezza è utile al genitore per poter usufruire di un appiglio in un momento in cui si sente sprofondare. Quando il medico è accogliente, empatico e chiaro nei confronti del genitore fornisce una prima base dalla quale poter cominciare ad elaborare il drastico risultato. La mancanza di un’accurata spiegazione potrebbe generare nel genitore il bisogno di procurarsene una senza fondamento che mina all’autostima della coppia al punto di percepirsi inefficaci e fallimentari. Il medico chiaro e compresibile diventa un essenziale supporto perchè quando un genitore esperisce la sensazione di aver compreso le parole dell’esperto sente di poter padroneggiare meglio l’evento, quando ciò non accade la confusione generata dalla notizia tende a crescere in maniera distruttiva, che come un vento spazza via la capacità di comprensione senza la quale ci si sente in soggezione, inferiori, impotenti e dunque schiacciati dagli eventi.

Quando la paura circa la salute del proprio feto si fa concreta a causa di una diagnosi di malformazione, diventa necessario, da subito, fornire indicazioni del grado clinico di cui può essere affetto il feto, che può variare da lieve a molto grave; in entrambe le circostanze sarà generato nei genitori un forte stress oltre che per la gravità della patologia riscontrata, per quelle che saranno le scelte che la stessa implica.

Sarebbe utile in questi casi fornire alla coppia il giusto supporto psicologico per poter affrontare da prima il brutto colpo inferto dalla triste notizia per poi sostenerli nel percorso che porta alla scelta, e soprattutto, al fine di prevenire eventuali importanti patologie o disturbi che questo tipo di scompenso possono far sviluppare: depressione post-partum, depressione per l’interruzione di gravidanza e problemi nello sviluppo del bambino, generati da difficoltà relazionali con lo stesso.

LE FASI DELL’ELABORAZIONE DEL LUTTO

Solitamente di fronte ad una notizia di tale natura la reazione psicologia si esprime in fasi – più o meno lunghe – necessarie per dare tempo al soggetto di poter padroneggiare il dolore arrecato.

La prima reazione è sicuramente quella dello shock. In questa fase è la confusione che regna e che porta ad una disorganizzazione psichica transitoria, durante la quale si fa impellente il bisogno di attribuire un significato all’esperienza.

Subito dopo questa fase è possibile assistere alla negazione. Vista la forte angoscia generata dallo shock si tenderà ad allontanare quest’ultima considerando l’idea del “non è possibile”, “potrebbe essere un errore”, “sbagliare è umano”. Questo tipo di pensieri aiuta a diluire la sensazione venefica inferta dalla verità di un feto malformato, come speranza di un appiglio che funge da allungatore temporale entro il quale poter tergiversare nell’attesa che l’idea trovi il suo luogo mentale.

La fase che solitamente segue è quella della delusione, passaggio molto delicato durante il quale si assiste ad un movimento psichico che vira e comincia a spostarsi sull’asse del fallimento e del senso di colpa. Molto forte è il senso di impotenza, di frustrazione e vergogna. La realtà esterna realizza un’immagine schiacciante che non può essere modificata e che può essere vissuta quasi come persecutoria, che mina la libertà di esperirsi come individuo che può influire sulla realtà. La delusione che dilaga colpisce anche il sistema coppia per ciò che concerne il bisogno di avere aspettative e desideri.

Quando la notizia ha attraversato le fasi appena viste avrà cominciato a trovare la strada sul piano di realtà, è questo dunque il momento in cui l’angoscia e la collera diverranno le emozioni caratterizzanti. A questo punto si è generata una sorta di vicinza al problema. Se nelle prime fasi lo shock e la negazione permettono una sorta di lontananza simbolica, qui ci troviamo a dover esperire il diretto effetto dell’evento scompensante. In questa fase è facile imbattersi in considerazioni del tipo: ” perchè proprio a me? “. La potenza dell’angoscia a volte è tale da poter far insorgere reazioni talmente intense da portare l’indivduo ad avere credenze irrazionali, come ad esempio la sensazione di essere stati puniti.

Verso la fine si assisterà all’adattamento per mezzo del quale la notizia assimilata avrà avuto modo di accomodarsi entro le pregresse conoscenze al fine di agevolare quella che sarà l’ultima fase: l’accettazione; grazie alla quale avviene una più completa integrazione a livello mentale del bambino malformato.

PERCHE’ RICHIEDERE UN SUPPORTO PSICOLOGICO

Dalle fasi appena viste si può dedurre quanto, in alcuni casi, sia necessario un supporto psicologico. Ciascun passaggio implica la necessità d’esistere e di manifestarsi al fine di prevenire disorganizzazioni poco adattive. Nelle prime fasi è sicuramente importante un approccio che supporti la coppia e che contenga lo straboccante dolore del primo impatto. Successivamente sarebbe opportuno far sperimentare a pieno ciascuna fase nell’importanza del suo inizio, del suo picco e del suo progressivo sfumarsi, qualora questo non avvenga è possibile osservare una tendenza regressiva verso la negazione aggirando in tal modo i necessari passaggi successivi che portano all’accettazione. È fondamentale che venga riconosciuta l’importanza di una decantazione emotiva: che la paura venga contenuta, che la delusione sia compresa, che la collera sia sfogata e che l’angoscia sia vissuta.

I MECCANISMI DI DIFESA

Le fasi appena citate variano in relazione alla soggettività in termini di tempo e di intensità. Entro le reazioni è possibile osservare molti meccanismi di difesa, oltre alla negazione vi è, per esempio, il distanziamento emotivo che produce una tendenza a rendere poco significativa la comunicazione con i genitori, generando in tal modo la giusta distanza dall’emozione scottante. A causa di ciò è, inoltre, probabile che la possibilità di relazionarsi con il proprio bambino venga inficiata. L’evitamento, è un altro esempio di difesa rintracciabile, si esprime attraverso comportamenti caratterizzati dalla maniacalità o dal controllo: fare una miriade di visite da specialisti diversi, che portano tutte al medesimo esito, e continuare nonostante tutto.

Le reazioni genitoriali, dunque, possono essere le più disparate non solo per ciò che riguarda il tipo di malformazione riportata dal feto e quanto questa potrà renderlo compatibile o meno con la vita, ma anche, e soprattutto, dalla struttura di personalità dei genitori, da quella che è la loro storia personale e poi di coppia, e dalle rappresentazioni mentali di ciascun genitore. Molto importante è capire attraverso i ricordi le prime interazioni con le esperienze traumatiche perchè saranno queste che si riattiveranno nell’attuale situazione. L’identità è una costruzione mentale abbastanza complessa, è la sintesi di molteplici esperienze e vissuti, che viene sottoposta a continue verifiche e rimodellamenti in relazione alle diverse fasi della vita. La malformazione incide direttamente sulla salute del bambino, ma colpisce indirettamente tutto ciò che ruota intorno alla famiglia, attuale e storica, dello stesso.

La gravidanza, per sua natura, è caratterizzata da complessi processi adattivi, nel caso di malformazione fetale tale progresso subisce una nuova ed esigente alterazione che richiede una repentina riorganizzazione in termini psicologici.

Alcune malformazioni fetali possono essere corrette chirurgicamente, appena il bambino sarà pronto per questo tipo di interventi, nelle più gravi il bambino sarà portatore di problematiche che richiederanno maggiore dedizione e preparazione per il suo sviluppo, fino ai casi più estremi, in cui non vi è garanzia che il feto possa continuare nel suo sviluppo.

Dinanzi a tale diagnosi la coppia genitoriale è posta ad un bivio che offre scelte non scevre di dolore: interruzione della gravidanza o la sua continuazione malgrado le conseguenze.

Nei casi in cui si sceglie di proseguire nel cammino della genitorialità è possibile che si sperimenti la sensazione di sentirsi come soggetti portatori di malattie, che falliscono nel naturale processo di procreazione, dal quale è facile che insorga la vergogna che spesso sedimenta nel senso di inferiorità. In queste circostanze fra le preoccupazioni più grandi vi è la paura circa la qualità della vita nel futuro del proprio bambino che diventerà adulto ed il senso di impotenza circa l’impossibilità di poter intervenire in tal senso. Oltre a ciò vi è il timore di non essere compresi dalla propria rete sociale, di sentirsi soli, e quindi di non poter garantire quindi un supporto nel momento in cui i genitori non saranno più in grado di occuparsi del proprio figlio. Portare avanti una gravidanza che comporta malformazioni fetali, per alcuni, può equivalere a generare una mostruosità e ciò, se associato alla preoccupazione di rimanere soli può portare la coppia alla scelta di interrompere la gravidanza. In questi casi si può assistere anche ad una transitoria perdita etica morale di se stessi. Quando la coppia sceglie o è costretta ad abortire si trova dinanzi ad un evento incomprensibile ed inaccettabile: il loro ruolo di “generatori di vita” muta in “generatori di morte” ed è facile che ciò venga vissuto come evento innaturale.

ELABORARE IL LUTTO PERINATALE

La perdita di un feto malformato richiede una particolarissima elaborazione del lutto. La dipartita di una persona cara – un amico, un genitore… – prevede l’elaborazione mentale del distacco definitivo verso qualcosa di già strutturato nella mente. I lutti sono solitamente accompagnati da riti che aiutano la metabolizzazione del dolore. I riti funebri trovano la partecipazione di coloro che hanno fatto parte della vita del defunto con i quali esso ha costruito ricordi reali fatti di scambi concreti e relazioni consolidate. Molti di questi aspetti non sono rintracciabili nel lutto perinatale, e quindi l’elaborazione della perdita diventa complessa perchè manchevole di quelle parti facilitatrici e necessarie per il distacco da esso.

Quando si comunica ad una donna di essere portatrice di un feto malformato, bisogna assicurarsi che non le vengano inflitte ulteriori sofferenze. Questo tipo di notizia può suggerire in lei la sensazione di avere dentro di sè la vita e la morte. In tal caso il grembo, che solitamente elargisce vita, può essere percepito come bara, e questa ambivalenza ha bisogno di uno spazio adeguato e pensato apposta al fine di fornire un contenitore spaziale ed umano che la aiuti a convogliare questo immenso travaglio mentale.

dr.ssa Margherita Lardo

Contatti: studiolardo[at]gmail.com

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