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La placenta, scatola nera della gravidanza: dall’aborto alla gestosi

La placenta rappresenta il substrato fondamentale per l’inizio e la continuazione della gravidanza.

L’impianto rappresenta il primo momento critico: si pensa, infatti, che molte gravidanze rimangano misconosciute, e talora vengono identificate solo per un transitorio test positivo. Si tratta delle cosiddette “gravidanze biochimiche”. E’ inoltre esperienza comune osservare un basso tasso di impianto anche nei cicli FIVET, in cui l’embrione viene posizionato, tramite una cannula, direttamente nell’utero: le probabilità non superano il 40% nelle trentenni, e possono diventare decisamente più basse all’aumentare dell’età materna.

L’ovulo fecondato si divide rapidamente, e formando la blastocisti si differenzia in due tipi di cellule: la massa cellulare interna, che diventerà l’embrione, e la massa cellulare esterna o trofoblasto, che darà luogo alla placenta.

L’impianto, inizialmente superficiale, diventa poi più profondo. L’endometrio deciduale è preparato dall’effetto del progesterone: le ghiandole endometriali sono ricche di secreto, contenente glicogeno (la forma complessa del glucosio). Inizialmente l’embrione impiantato si nutre per diffusione delle sostanze nutritive, ma ben presto si stabilisce una rete vascolare, tramite la quale il trofoblasto si mette in rapporto con la circolazione materna. All’inizio della sesta settimana di gestazione, è visualizzabile ecograficamente l’attività cardiaca embrionaria.

La placenta umana viene definita di tipo “emocoriale”, cioè con massima commistione tra sangue materno e sangue fetale, che sono separati solo da una sottile membrana.

Il trofoblasto invade la parete dei vasi arteriosi materni, le cosiddette arterie spirali, che originano dalla uterine. Esso si approfondisce secondo una modalità che è stata descritta come una colata di cera lungo le pareti di una candela. Il trofoblasto sostituisce le cellule endoteliali materne, determinandone l’apoptosi (morte programmata). Lo stesso succede alla tonaca muscolare liscia dell’arteria, che diventa quindi ben aperta al flusso sanguigno: il calibro del vaso aumenta, e questo, per leggi emodinamiche, determina un notevole aumento della perfusione. Il trofoblasto arriva ad invadere non solo lo strato superficiale della decidua, ma anche il miometrio, permettendo un saldo ancoraggio della placenta all’utero. Le zone centrali della placenta, che sono quelle più spesse, sono anche quelle con una più profonda invasione trofoblastica.

Questi processi vengono regolati da una miriade di fattori immunologici e su base genetica. Sembra particolarmente importante l’imprinting dei geni paterni (il patrimonio genetico di derivazione paterna aiuta la placenta a svilupparsi correttamente). Dall’altra parte, fattori di regolazione materna impediscono un troppo profondo ancoraggio placentare (una situazione che, all’estremo opposto, può portare alla cosiddetta placenta accreta, che addirittura può superare i confini dell’utero, ed attaccare altri organi, ad esempio la vescica).

Nei primissimi stadi di sviluppo il trofoblasto forma dei tappi all’interno dei vasi materni, creando un ambiente a basso tenore di ossigeno. Ciò stimola ulteriormente l’angiogenesi, cioè la produzione di fattori che favoriscono lo sviluppo vascolare placentare, e si pensa che costituisca una protezione dallo stress ossidativo, legato cioè ai radicali liberi dell’ossigeno. L’ambiente placentare aumenta successivamente la tensione di ossigeno passando da meno di 20 mmHg prima delle 10 settimane a oltre 50 mmHg oltre le 15 settimane, quando avviene l’invasione trofoblastica più profonda delle arterie spirali a livello del miometrio.

Questo ha un riscontro clinico nel fatto che la terapia antitrombotica non sembra di sicura efficacia nel trattamento dell’aborto ricorrente. Anzi, da alcuni lavori risulta che la trombofilia non sarebbe associata al rischio di poliabortività.

Nel caso della gestosi o pre-eclampsia, l’invasione trofoblastica della parete vascolare delle arterie spirali rimane più superficiale, e non riesce ad approfondirsi bene nel miometrio. Questo è un dato che può essere analizzato solo con biopsie del letto placentare, cioè l’insieme di decidua e miometrio superficiale, che si trovano al di sotto, e che non sono compresi nella placenta, che poi viene mandata all’istologia. Si tratta comunque di un esame, effettuato solo per scopi sperimentali, come da alcuni studi su cesareo/isterectomia con placenta in situ e di biopsie uterine in sede di parto cesareo.

Sembra, inoltre, che nel 20% dei casi di parto pretermine ci possa essere un difetto di vascolarizzazione placentare, associata o meno a segni di corionamniotite (il riscontro all’istologia di una infezione). Si ipotizza che l’ischemia utero-placentare possa determinare una irritazione sull’utero, tale da portare ad attività contrattile. In particolare l’attivazione del sistema coagulativo, con la generazione della molecola trombina, rappresenterebbe un fattore di stimolo importante sulle cellule muscolari lisce uterine.

Bibliografia

Placental bed disorders: basic science and its translation to obstetrics. Edited by R.Pijnenborg, I.Brosens, R.Romero. Cambridge University Press, 2010.