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L’anencefalia è un difetto che interessa una su 1000 gravidanze, e consiste nella mancata formazione della calotta cranica. L’anencefalia fa parte dei difetti del tubo neurale, come la spina bifida, e origina dal difetto di chiusura del tubo neurale, nel corso della 4°-6° settimana di gravidanza.

Ecograficamente si evidenzia come anomala forma del cranio, fin dal primo trimestre (la diagnosi è possibile dopo le 11-12 settimane). Infatti, si forma solo il massiccio faciale, e il cervello, esposto direttamente a contatto con il liquido amniotico, degenera. La lunghezza fetale (CRL) risulta inferiore rispetto all’epoca gestazionale attesa, per la mancata formazione del vertice cranico.

L’alfa-feto proteina, dosata su sangue materno o su liquido amniotico, risulta notevolmente aumentata.

Solitamente l’anencefalia è una malformazione isolata, può trovarsi associata a craniorachischisi (=tutto il tubo neurale è aperto, dal cranio alla colonna vertebrale sacrale), ed in alcuni casi ad anomalie cromosomiche, seppure più raramente. L’anencefalia è stata messa in relazione con il difetto di acido folico, come la spina bifida. Altri fattori di rischio sono il diabete insulino-dipendente, ed alcuni farmaci antiepilettici (come acido valproico, carbamazepina), in quanto antagonisti dell’acido folico.

La gestione di questa condizione prevede:

La prognosi per il feto è negativa: si tratta purtroppo di una anomalia incompatibile con la vita (i feti anencefali nascono morti o muoiono pochi giorni dopo la nascita). Alcuni genitori scelgono di portare avanti la gravidanza, nonostante le prospettive. Nelle gravidanze che continuano si può sviluppare polidramnios, dovuto alla ridotta deglutizione fetale. Questo può richiedere procedure di amnioriduzione, soprattutto se il liquido amniotico risulta molto aumentato, creando difficoltà respiratorie materne. Il parto deve avvenire per via vaginale, o comunque secondo indicazione ostetrica.

Per una futura gravidanza, è opportuna la supplementazione con alte dosi di acido folico (5mg), a partire dal periodo preconcezionale (almeno un mese prima del concepimento). Questo riduce il rischio di ricorrenza del 75%.