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La spina bifida è una malformazione congenita, che si presenta con un’incidenza di 0,4 su 1000 nati.

Essa consiste in un difetto di chiusura del tubo neurale durante la sesta settimana di gravidanza. Il livello del difetto è più frequentemente lombosacrale, ma può essere anche cervicale, craniale (anencefalia, encefalocele) o un difetto esteso a tutta la colonna vertebrale (craniorachischisi).

Le cause della spina bifida sono correlate al deficit di acido folico (dieta carente, uso di farmaci antiepilettici – carbamazepina e acido valproico – uso di contraccettivi orali per lunghi anni). Il diabete pre-esistente alla gravidanza può essere un fattore di rischio.

L’ecografia ostetrica può evidenziare la presenza di spina bifida aperta (una condizione in cui il tubo neurale è a diretto contatto con il liquido amniotico), mentre la spina bifida chiusa può essere sospettata dopo la nascita per la presenza di un ciuffo di peli o un lipoma al di sopra della lesione. La spina bifida chiusa non determina danno sul tessuto nervoso, in quanto il difetto vertebrale è coperto dalla cute.

Ecograficamente la spina bifida è diagnosticata grazie alla presenza dei segni cranici, presenti nel 99% dei feti: cranio a forma di limone, ventricolomegalia, cervelletto a banana, obliterazione della cisterna magna. Il cervelletto erniato attraverso il forame ovale costituisce la malformazione di Chiari II.

A livello della colonna vertebrale il difetto non è sempre facile da identificare: i processi vertebrali sono aperti, e ci può essere un meningocele (massa cistica anecogena, è un sacco che contiene solo meningi) oppure un mielomeningocele (massa cistica complessa, contiene meningi e tessuto nervoso), o mieloschisi (il midollo spinale è aperto, senza un sacco al di sopra).

Reperti ecografici associati possono essere cifo-scoliosi e piede torto bilaterale.

Recentemente sono stati descritti nei feti affetti da spina bifida alcuni segni ecografici già dal primo trimestre, tramite la misurazione della translucenza intracranica (non è la stessa cosa della translucenza nucale), che consiste nella misuraizone del diametro anteroposteriore del quarto ventricolo, che non appare visibile nei feti affetti da spina bifida. Questo dato potrebbe portare in futuro allo screening per la spina bifida nel primo trimestre, analogamente allo screening per la sindrome di Down.

La diagnosi differenziale si pone rispetto a:

  • cranio a forma di limone, si trova nell’1% dei feti sani
  • agenesia del sacro
  • cifoscoliosi isolata, ad esempio emivertebra

Nel 40% dei casi sono presenti altre anomalie, e nel 14% dei casi la spina bifida può essere segno di anomalie cromosomiche, come trisomia 18, trisomia 13, triploidia.

La gestione di questa condizione prevede:

  • ecografia di secondo livello, per stabilire ampiezza e livello della lesione (sacrale, lombare, etc), e per valutare la presenza di anomalie associate.
  • ecografia 3D: può aiutare a determinare il livello della lesione
  • risonanza magnetica fetale: aiuta a valutare meglio l’anatomia cerebrale ed il livello della lesione
  • consulenza genetica, amniocentesi (soprattutto se ci sono altre anomalie associate)
  • consulenza con neurologo pediatra e con neurochirurgo, per discutere la necessità dell’intervento chirurgico dopo la nascita e per parlare degli esiti neurologici a distanza.
  • ecografie di follow-up, per controllare la crescita fetale e monitorizzare l’entità della ventricolomegalia
  • la terapia di correzione chirurgica in utero della spina bifida è sperimentale, e non scevra da rischio ostetrici importanti (rottura delle membrane, parto pretermine). I casi trattati in utero sembra che abbiano minor bisogno di shunt ventricoloperitoneale, ma non ci sono differenze rispetto ai non trattati riguardo alla motilità degli arti inferiori e alla continenza urinaria e fecale.
  • il parto deve avvenire mediante taglio cesareo di elezione a termine di gravidanza, in un centro terziario di riferimento. L’intervento chirurgico deve avvenire subito dopo la nascita, per coprire il midollo spinale al fine di evitare complicanze infettive, e per trattare l’idrocefalo. Il 90% dei casi in cui si verifica idrocefalo progressivo avrà bisogno di shunt ventricolo-peritoneale (il posizionamento di un tubicino che va dal cervello alla cavità addominale, per scaricare il liquido cefalorachidiano in eccesso).

La prognosi può variare, a seconda del livello della lesione. Il numero di vertebre coinvolte e le dimensioni del sacco non hanno alcun ruolo nel determinare la funzione motoria. Lesioni sacrali possono consentire la deambulazione con ausilii, ma sono comunque associate a disfunzioni nella continenza urinaria e fecale.

La sopravvivenza è del 70-80% a 5 anni di vita, e circa il 50% dei pazienti raggiunge l’età adulta. Il 50% dei pazienti presenta un coefficiente intellettivo superiore a 80.

Il rischio di ricorrenza è del 5%

La prevenzione dei difetti del tubo neurale consiste nella somministrazione preconcezionale di acido folico, al dosaggio di 400 mcg in donne sane, e 5 mg in donne con precedente difetto del tubo neurale (questo riduce il rischio di ricorrenza del 75%). Sembra che la somministrazione di inositolo riduca il rischio di difetti del tubo neurale in donne che hanno avuto un bambino malformato, pur assumendo acido folico in fase preconcezionale.