di Valentina Pontello

L’Italia è tra i primi paesi che praticano il taglio cesareo, che raggiunge il 38% di tutti i parti, contro il 10-15%, che è la percentuale ritenuta ideale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Esistono però delle differenze notevoli tra le diverse regioni, con le percentuali maggiori di taglio cesareo che si registrano al sud rispetto al nord (in alcune realtà addirittura il 70% dei parti!) e nei centri privati rispetto a quelli pubblici.

I motivi di questa percentuale così alta sono molteplici, in primo luogo essa dipende dal desiderio da una parte dei medici di proteggersi da questioni medico-legali, e dall’altra esiste una richiesta esplicita da parte delle future madri, che temono i rischi di un parto naturale. In questo caso, non basta ricordare i molti vantaggi del parto naturale, sia per la madre sia per il neonato (ad esempio, i bambini nati da un parto naturale respirano con maggiore facilità, e dormono in genere più profondamente nei giorni immediatamente dopo il parto).

In inglese chi non vuole partorire per via vaginale viene definita too posh to push, cioè troppo snob per spingere, ma questa è una semplificazione che rischia di banalizzare una realtà molto variegata.

Generalmente, la futura madre che non vuole partorire lo fa per il terrore che qualcosa possa andare storto, o per precendenti esperienze di parto negative. Infatti, il parto è un momento molto significativo anche emotivamente per una donna, e se questa ha vissuto situazioni in cui non si è sentita accolta o addirittura si è percepita vittima di violenza (per manovre invasive e cruente) potrebbe arrivare a non desiderare una nuova gravidanza o a rifiutare il parto vaginale, sviluppando la cosiddetta tocofobia.

In altri casi, la paura del parto può derivare da un evento ostetrico negativo precedente, come una morte in utero, specie se questa avviene a termine di gestazione. Le ansie della futura madre si catalizzeranno sulle settimane in cui è avvenuto l’evento, ed emotivamente ella tenderà a pensare che anticipare il parto possa prevenire il ripetersi della perdita fetale.

Raramente, il taglio cesareo su richiesta nasconde problematiche di tipo psicopatologico, come ad esempio una scarsa autostima (“non ce la posso fare a sopportare tutto quel dolore”), o disturbi psichiatrici veri e propri (ansia, depressione).

Non bisogna quindi mai banalizzare la richiesta materna del taglio cesareo, ma sempre cercare di capire le motivazioni che ci sono dietro, e fornire, se ritenuto necessario, un supporto psicologico, che faciliti lo sviluppo delle competenze personali necessarie per affrontare questo passaggio così delicato. In caso contrario, si rischia di far slittare il conflitto irrisolto nel periodo dopo il parto, con conseguenze sulla relazione madre-neonato e sulla crescita emotiva di entrambi.

Sullo stesso argomento, ascolta il podcast di Mamme a nudo

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