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  1. Introduzione
  2. Toxoplasma
  3. Citomegalovirus
  4. Parvovirus
  5. Rosolia
  6. Varicella

Introduzione

Il riscontro di una malattia infettiva nel corso della gravidanza rappresenta un problema clinico piuttosto frequente.

La prima domanda che ci poniamo è relativa alla datazione dell’evento infettivo: è molto importante identificare, con maggiore precisione possibile, quando è stato il momento in cui è avvenuta l’infezione stessa. Infatti le conseguenze possono essere molto diverse a seconda dell’epoca gestazionale: ad esempio, spesso infezioni avvenute nel primo trimestre di gravidanza possono dare problemi clinici importanti (aborto, malformazioni), perchè è questo il momento in cui avviene l’embriogenesi, cioè lo sviluppo degli organi fetali. Si può stimare l’epoca in cui è avvenuto il contatto mediante la ricerca degli anticorpi materni: le IgM sono le prime che si sviluppano dopo un evento infettivo, e indicano quindi un contatto recente, mentre le IgG sono gli anticorpi che si sviluppano più tardi ed indicano contatto passato.

In generale:

IgM IgG
nessun contatto
+ infezione recente
+ + infezione recente
+ immunità (infezione passata)

Un test aggiuntivo è dato dalla “avidity”, cioè un test che valuta con quanta affinità si lega l’anticorpo al suo antigene. Un’alta avidity è indicativa di infezione passata, cioè il sistema immunitario si è “allenato” a riconoscere il suo antigene e quindi l’affinità di legame è più alta. Viceversa, una avidity bassa è indicativa di infezione recente.

Tuttavia, è sempre importante ricordare che non sempre il feto viene infettato dal microrganismo in esame, cioè spesso solo in una minoranza di casi il microrganismo (virus, batterio o parassita) riesce ad attraversare la placenta ed a infettare il feto. Per questo motivo spesso nei casi di malattia infettiva in gravidanza si richiede l’amniocentesi: infatti possiamo eseguire la ricerca del DNA del microrganismo con metodiche ultrasensibili, quali la PCR (=polimerase chain reaction, un particolare tipo di indagine genetica). Se il microrganismo è assente nel liquido amniotico, questo significa che non c’è stata infezione fetale.

Nei casi di infezione fetale, comunque, non sempre ci sono conseguenze: è importante eseguire uno o più controlli ecografici di secondo livello per lo studio dell’anatomia fetale, per evidenziare eventuali malformazioni connesse all’infezione stessa. Tuttavia, nei casi in cui il quadro ecografico risulta nella norma, non si può comunque escludere al 100% che ci siano poi problemi nel neonato: alcuni tipi di patologie, come ad esempio infezioni della retina da parte di certi microrganismi quali il toxoplasma, non danno alcun segno all’ecografia, ma possono essere causa importante di patologia nel neonato.


Toxoplasma

Il toxoplasma è un parassita, che effettua una parte del suo ciclo vitale nel gatto: il gatto si infetta quando mangia carni infette, e il parassita viene poi emesso con le feci. L’uomo può essere contaminato quando mangia carni infette, o nel contatto con i gatti (ad esempio pulire la lettiera è un’attività a rischio), o ad esempio durante hobbies quali il giardinaggio.

L’infezione materna è asintomatica nell’80-90% dei casi, manifestandosi con febbre e linfoadenopatie (cioè aumento di volume dei linfonodi) solo in una minoranza dei casi. L’infezione, quindi, viene identificata facendo gli esami del sangue, di routine in gravidanza: il cosidetto toxotest, che è la ricerca degli anticorpi.

Le manifestazioni hanno una gravità variabile, a seconda dell’epoca gestazionale:

  • primo trimestre: il passaggio attraverso la placenta avviene in meno del 20% dei casi, ma può essere talora causa di aborto
  • secondo trimestre: il feto viene infettato in circa un terzo dei casi. Possibili conseguenze, non presenti in tutti i casi, sono idrocefalo (una patologia in cui aumentano gli spazi liquidi nel cervello), calcificazioni cerebrali, ritardo mentale, calcificazioni epatiche, corioretinite (=problemi agli occhi)
  • terzo trimestre: il passaggio transplacentare avviene nel 65% dei casi, possibili conseguenze sono ritardo mentale, corioretinite, epatosplenomegalia (=aumento di volume di fegato e milza)

Esiste però la possibilità di fare terapia e prevenzione dell’infezione fetale: nei casi in cui si è identificata l’infezione materna si può iniziare la terapia antibiotica, con la scelta di un farmaco che attraversa la placenta per limitare i danni nei casi in cui si è riscontrata anche infezione fetale all’amniocentesi.

 

Le norme di prevenzione più generali in chi è negativa al toxotest consistono nell’evitare di mangiare alcuni cibi, evitare il contatto con i gatti (con l’eccezione delle bestiole casalinghe, da sempre alimentate a scatolette), non praticare giardinaggio. I cibi “proibiti” consistono in tutte le carni crude o poco cotte: infatti il parassita è molto sensibile al calore. Non si possono quindi mangiare insaccati e prosciutto crudo, via libera a mortadella e prosciutto cotto! Evitare il latte non pastorizzato e la verdura cruda.


Citomegalovirus

Il citomegalovirus è un virus molto frequente tra gli adulti: si calcola che circa l’80% degli adulti ha gli anticorpi, cioè ha avuto in passato il contatto con il virus. Il 2-4% delle donne in gravidanza contrae l’infezione per la prima volta, ma anche le riattivazioni del virus, che rimane silente nell’organismo, possono infettare il feto, seppure assai raramente (1% dei casi). Pertanto, molti ritengono inutile l’esecuzione di test di screening in gravidanza, in quanto l’immunità pregressa non protegge dalla reinfezione o dalla riattivazione del virus.

Nei casi di prima infezione, il virus attraversa la placenta nel 40% dei casi, ma solo nello 0.5-2% di questi dà problemi importanti, che consistono in microcefalia, ventricolomegalia con calcificazioni periventricolari, corioretinite, calcificazioni epatiche, sordità, ritardo mentale, convulsioni. Il 10% dei neonati infettati presenta una sintomatologia importante alla nascita, e nel 90% dei sopravvissuti si verificano sequele neurologiche. Il 90% dei neonati infetti è asintomatico alla nascita, ma nel 10% dei casi possono verificarsi danni a carico del sistema nervoso centrale.

 

L’amniocentesi con PCR quantitativa ci consente di identificare i feti infetti, per seguirli più attentamente con monitoraggio ecografico. La diagnosi prenatale invasiva viene eseguita solitamente dopo le 21 settimane di gestazione, periodo in cui la diuresi fetale inizia ad essere significativa (il virus viene eliminato con l’urina fetale). Se la ricerca del virus nel liquido amniotico è negativa, questo non esclude comunque la presenza di infezione fetale, infatti il test non ha la sensibilità del 100%, anche se è comunque molto affidabile.

L’assenza di malformazioni fetali visibili ecograficamente non esclude che ci possano essere problemi nel neonato, soprattutto oculari o uditivi, che non possono essere investigati con l’ecografia.



Parvovirus

Per l’infezione da Parvovirus si rimanda alla sezione sull’anemia fetale.


Rosolia

La rosolia in gravidanza rappresenta una patologia ormai rara, grazie all’introduzione del vaccino specifico. Tale vaccino è un virus vivo attenuato, pertanto è bene evitare una gravidanza nei sei mesi seguenti alla vaccinazione stessa.

Il virus della rosolia può dare:

  • al primo trimestre: (probabilità di trasmissione al feto intorno all’80%) aborto, malformazioni multiple (cecità, malformazioni cardiache, sordità, microcefalia)
  • al secondo e terzo trimestre: (probabilità di trasmissione al feto 20-40%) ritardo di crescita, ritardo mentale

E’ quindi consigliabile effettuare uno screening in epoca preconcezionale, al fine di vaccinare le donne non immuni. Essendo il vaccino un virus vivo attenuato, si consiglia per precauzione di aspettare un paio di mesi (almeno un mese) prima di tentare il concepimento. Studi su donne sottoposte a vaccinazione durante la gravidanza (non erano consapevoli del loro stato) non hanno riportato danni nei neonati.

In caso di infezione da rosolia in gravidanza è consigliato eseguire ecografia di secondo livello ed ecocardiogramma fetale.


Varicella

Il virus della varicella è molto diffuso: circa il 95% degli adulti hanno avuto il contatto con questo virus, e sono pertanto immuni. La varicella dà epidemie nelle comunità scolastiche,e dopo un periodo di incubazione di 10-20 giorni compaiono i sintomi clinici: febbre, dolori muscolari, ed eruzione cutanea caratteristica.

Si calcola che circa 3 donne su 1000 si infettino durante la gravidanza, ma solo nell’1% dei casi avviene il passaggio del virus al feto. Le conseguenze della varicella in gravidanza, rarissime, possono essere:

  • al primo trimestre: non c’è evidenza che aumenti il rischio di aborto
  • al secondo trimestre: ventricolomegalia, microcefalia, corioretinite, cataratta, calcificazioni epatiche, ipoplasia degli arti
  • al terzo trimestre: di solito non ci sono problemi particolari, ad eccezione dei casi in cui l’infezione viene contratta in vicinanza del parto. Infatti il neonato, se non è protetto dagli anticorpi materni, può sviluppare un’infezione particolarmente virulenta.

Anche in questo caso, la vaccinazione preconcezionale può proteggere la donna da eventuali effetti avversi sul feto.